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IL TRENO SCOMPARSO


Il treno scomparso
(Racconto dedicato ai lavoratori della wagon lits che presidiano la Stazione Centrale di Milano e che occupano la torre del binario 21)
Quando si ha una certa età e si è rimasti vedovi ci si può sentire come un pacco postale e si è anche fortunati a vivere questa condizione. Nonostante la tristezza ormai non mi abbandonasse, non potevo dire di non essere fortunato; alternavo la mia vita tra lunghi periodi di permanenza a Milano a casa di mio figlio con altri lunghi periodi di permanenza a Cefalù dove abitava l’altra mia figlia e dove c’era ancora la vecchia casa che ad ogni angolo trasudava di ricordi.
Erano già diversi mesi che stavo a Milano, grande città grigia che mi affascinava per il suo movimento e per qualche suo angolo di pace. La mia passeggiata quotidiana mi portava spesso in piazza S. Eustorgio; uscivo dal traffico di corso di Porta Ticinese ed entravo lentamente nella piazza; con il mio andare lento, impettito e appoggiato al bastone, attraversavo la piazza e mi avviavo verso il retro della basilica dove campeggiano le punte della sua cappella. Trovavo la panchina, contavo sempre di sfogliare il giornale appena comprato, ma poi mi limitavo a percorrere con gli occhi il cotto dei mattoni, qualche albero e mi accorgevo che era già passata un’ora. Pensavo, divagavo, ma spesso restavo congelato dentro la fissità dei ricordi. Poi era ora di riprendere lentamente il passo per arrivare entro l’una a casa di mio figlio.
Ero indeciso su quando e come cominciare il discorso da fare a Carlo, aspettai che avesse bevuto l’ultimo dito di vino rosso posteggiato nel bicchiere e poi: “Carlo, mi devi prenotare il treno, io il 25 febbraio debbo essere a Cefalù. Il 28 è l’anniversario della morte della mamma e io debbo portare i fiori”.
“Ma, non si era detto che si scendeva insieme a Giugno?”
“Non mi ricordo cosa avevo detto; ma ora non posso, debbo scendere per forza, debbo portare i fiori …”
“Ma papà, li può portare Lia i fiori, tutti quelli che vuoi”.
“No, non è la stessa cosa; mi occorre sentire lu ciauru di quei fiori. E poi che importa; scendo prima, faccio mettere a posto i lavori che ci sono da fare in casa, chiamo l’idraulico, sto attento a quello che deve fare e quando a giugno scenderai tu trovi tutto a posto. Tu devi solo prenotarmi il treno e io arrivo liscio liscio; avvisi Lia che mi viene a prendere alla stazione ed è tutto a posto”.
“Papà, il treno non c’è più”
“Ma che minchia stai diciennu!?”
“Sì, proprio così, il treno notturno Milano – Palermo non c’è più”.
“Ma che vuole dire, e come sono venuto?”
“Con quel treno sei venuto”
“E che è … scompare un treno! Carlo, ti pare giusto pigliare pi fissa tuo padre solo perché sta diventando vecchio?”
“Ma quale pi fissa, ma quali pi fissa. Ora accendo internet e te lo faccio vedere che il treno non c’è più. Te lo faccio leggere da solo, visto che tu su internet ci sai andare e non sei così vecchio e rimminchionito”.
Vidi che Carlo si era un po’ alterato e aspettai che si calmasse; poi, dopo la tazza di caffè, ci siamo rivolti un breve sorriso e ci siamo messi insieme dinanzi al computer.
“Bene, disse Carlo, questa è la pagina di Trenitalia. Cerca tu stesso, Milano destinazione Palermo; se vuoi ci puoi mettere direttamente Termini Imerese, dove di solito ti viene a prendere Lia.”
Feci come aveva detto, e spuntò la schermata ricercata. Con mia grande sorpresa leggevo che potevo partire da Milano la sera al solito orario, ma il treno mi avrebbe portato a Roma e poi dovevo cambiare.
“Ma … ma “ mi limitavo a balbettare. Carlo completò il mio angosciante pensiero: “puoi arrivare solo a Roma e poi devi cambiare.”
“E arrivo a Roma con la Freccia Rossa, veloce e pagando più caro. Ma io non debbo andare a Roma. E che ci faccio a Roma di notte, da solo e con la valigia?”
Non so cosa stava dicendo mio figlio Carlo ma mi sentivo sperduto; quella piccola corda che mi legava tra Milano e il mio paese Cefalù si era spezzata.
“Debbo prendere l’aereo! Debbo volare.” Dissi con un filo di voce.
“Non l’hai mai voluto fare. Hai detto sempre che ti dava fastidio”; aggiunse mio figlio.
“Ma a parte il fastidio per una cosa che non ho mai fatto, l’aereo mi porta a Punta Raisi, altro che Termini Imerese”.
“Lia ti può venire a prendere all’aeroporto”.
“Non voglio pesare così tanto su Lia, posso prendere un taxi.”
E’ arrivato il miliardario!” Carlo continuò in tono canzonatorio. “Hai idea di quanto ti possono chiedere dall’aeroporto di Punta Raisi fino a Cefalù? Sono un centinaio di chilometri.”
“Se Lia mi viene a prendere piglio l’aereo …” dissi e rimasi d’accordo con Carlo che avrebbe parlato con Lia e poi prenotato un volo.
Non avevo certo paura di volare con l’aereo, ma trovavo la cosa angosciante: per tanti anni io e mia moglie continuavamo a rimandare un viaggio a cui lei teneva tantissimo, in Grecia; poi alla fine quando era tutto pronto, la data del viaggio in aereo, gli alberghi, il percorso delle visite che avremmo fatto; un paio di settimane prima lei si ammalò, il viaggio fu annullato e cominciarono i lunghi mesi di strascinamento tra un ospedale e l’altro fino alla nostra distruzione. E come avrei potuto volare senza di lei. Ma ora veniva fuori una necessità, dovevo portare quei fiori e volevo ciauriarli a uno a uno.
Nei giorni successivi cominciai con calma a cercare su internet; scoprii che oltre al mio treno ne erano scomparsi tanti, tutti i notturni che collegavano il nord con il sud; in pratica ci obbligavano tutti ad usare i nuovi treni ad alta velocità fino a Roma o Napoli, per poi diventare di nuovo lenti dopo uno spiacevole cambio, e il tutto condito con il raddoppio del prezzo. Scoprii che i lavoratori di quei treni erano più di 800 e che erano stati tutti licenziati; ma ancora stavano lottando, presidiavano la stazione di Milano centrale e che alcuni di loro stavano notte e giorno sopra una torre al binario 21.
“Non è finita”, dissi a me stesso, “si può ancora vincere, debbo andare a trovarli. “ Quell’idea di andarli a trovare mi aveva come fatto riprendere delle forze antiche; pensai alle mie antiche lotte, molte perse, qualcuna vinta, ma la forza che mi teneva in piedi in quei momenti era tanta.
Carlo mi disse che aveva parlato con Lia e che aveva trovato anche un volo comodo, mi avrebbe portato a Palermo il 20 febbraio con arrivo a Punta Raisi per l’una e poi con calma saremmo andati a Cefalù.
“Bene, molto bene.” Dissi e proseguii: “Domani vado a trovare i lavoratori della wagon lits che presidiano il binario 21 della Stazione Centrale di Milano”.
“Ma che ti sei messo in mente!?” Disse mio figlio.
“Quelli stanno lottando per il loro posto di lavoro e per il mio treno e vuoi che io non ci vado? E che sono una bestia!?”
“Tu sei debole e fa un freddo boia in questi giorni”; disse accoratamente Carlo.
“Mi copro, e poi il freddo mi fa sentire più arzillo”.
Ascoltai in parte i consigli di Carlo, evitai il 10 febbraio, la neve aveva imbiancato velocemente tutta Milano durante la notte; ma l’11 febbraio tutto sembrava tornato alla normalità. Mi vestii con il maglione più pesante che avevo, poi indossai il mio cappottino, il mio bastone e via; prima il tram 15 fino al Duomo e poi la Metropolitana. Il freddo c’era ma non osava ostacolarmi.
Quando arrivai impettito dinanzi al presidio cominciai a salutare e a stringere le mani a tutti con un sorriso, dissi che volevo fare una piccola sottoscrizione e tirai fuori le mie cinquanta euro. Il lavoratore del presidio mi sorrise e mi chiese il mio nome. “Sono Stefano La Lumia”, dissi ostentando una certa sicurezza.

“Chi è?” Si sentì gridare da uno degli operai appollaiati sulla torre.
Il lavoratore che stava prendendo le mie generalità, forse tirato in inganno dal mio fare impettito o da quel mio nome che somigliava ad altro noto, rispose a voce alta all’operaio della torre: “E’ l’onorevole La Lumia”.
Sbottai: “Ma chi minchia dici, ma quale onorevole e onorevole. IO SONO IL POETA STEFANO LA LUMIA DI CEFALU’” . Lo dissi in tale modo tonante che lo stesso operaio della torre rispose: “MEGLIO” e mi indirizzò un ampio saluto con la mano. Risposi al saluto ondeggiando anch’io la mia mano destra. Sentii un breve applauso che quasi mi mise in imbarazzo, salutai di nuovo e andai via.
Ripresi il percorso del binario verso l’uscita della Stazione, e sentii accanto la sua presenza: “L’hai detto come volevo io, con voce tonante, perché tu questo sei “.
“Anna!” dissi io ad alta voce, e la donna capotreno che stava camminando accanto a me mi ricambiò con un sorriso dicendo: “ha bisogno di qualcosa?”. “No, no, di niente, mi scusi”, risposi intimidito.
Continuai a camminare verso l’uscita della Stazione, attraversai il bombardamento dei video, i cunicoli luminosi, mi lasciai trasportare dal nastro mobile; non parlava più ma la sua presenza la sentivo vicina, solo quando presi il treno della Metropolitana mi sembrò come se si fosse nuovamente allontanata. Non mi era mai accaduto, lo avevo desiderato tantissimo ma non mi era mai accaduto; ora ne avevo sentito un piacevole tremore.
Il tram 15 ritardò un po’ a passare e cominciai a sentire un gran freddo, arrivai a casa che ancora quasi tremavo, la stessa casa mi parve fredda, controllai il riscaldamento, tutto a posto. Mi tolsi il cappotto e il maglione pesante, ma il freddo era tanto; e mi rimisi di nuovo il cappotto come se fosse una pesante vestaglia.
“E’ appena mezzogiorno, pensai, e Carlo arriva all’una e mezza; quasi, quasi mi stendo un po’ nel letto e aspetto che arriva. Mi sento le caviglie indolenzite”.
Ed ecco la campagna, che caldo che fa! E sto ancora con il cappottino. E che ci sono venuto a fare in campagna? Torno in paese a Cefalù. E come? Alzo la mano destra verso l’alto e le mie caviglie prima si allungano e poi i piedi si staccano da terra. Sono in alto. Deve essere il cappottino che mi porta su, non si spiega altrimenti, lo sbottono rapidamente, per fortuna non ho più addosso il maglione pesante, ma solo una fresca camicia bianca. Sì, torno in paese, basta alzare le braccia e poi distenderle nuovamente e mi sollevo. Ecco Cefalù, la cattedrale, posso calarmi lentamente su una delle torri, scelgo quella che confina col monte.
I miei piedi si posano lentamente, ora sono affacciato e guardo le teste delle palme, la piazza e il mio paese che si stende verso il mare.
Sull’altra torre della cattedrale scorgo un velo di colore indaco che si spande avvolgendo una figura, e dai capelli neri che ondeggiano al vento subito la riconosco: “Anna, che ci fai qua!?”

Mi sorride: “piuttosto tu che ci fai, con questo stupido cappottino?”
“Mi aiuta a volare”
“Ma tu hai sempre saputo volare, un poeta l’unica cosa che sa fare è volare”
“Possiamo volare insieme in Grecia. Che dici, Anna?”
“Intanto scendiamo giù alla spiaggia"
“Ma se ci vedono chissà cosa possono pensare”
“Ma chi vuoi che ci veda, il sole si è alzato da poco e ancora dormono tutti. Vieni"
E si stacca col suo velo dalla torre e prende a correre in alto e io alzo le braccia per raggiungerla, i miei occhi seguono l’onda indaca del suo velo che turbina nell’azzurro, Cefalù diventa piccola mentre corriamo verso il mare.
Anna discende sulle onde spumose della riva e io approdo sulla sabbia. E’ bellissima, e i suoi capelli neri ondeggiano al vento; sorride indicando con la mano destra i miei piedi: “che buffo, come sempre, senza scarpe ma non abbandoni mai i tuoi pedalini neri …”
Non capisco perché Carlo continua a bussare sul mio petto, insieme ad altri con il camice bianco.
“Ma cosa vuole e perché lo fa? Ma ora glielo dico. Sì che glielo dico. So volare … so volare”. Ma dalle mie labbra non usciva più alcun suono.
11/03/2012 francesco zaffuto

immagini da internet - Basilica di S. Eustorgio - La torre binario 21 e il lavoratori in lotta - La cattedrale di Cefalù

15 commenti:

  1. Ottimo, direi che anche tu hai le idee chiare! Non lo dubitavo, ho aggiunto il tuo blog a quelli che seguo, complimenti

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  2. Arrva diritta al cuore e anche di più.

    orsolina

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  3. E' una meravigliosa poesia in prosa.
    Torno di là.
    Ciao.

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  4. Mi hai commosso amico, mi hai commosso. E' una bella dolce storia..e si sente anche 'u ciauru re ciuri', dei 'jardini' e del mare della nostra terra..

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  5. Quando un contributo di solidarietà diventa una lirica parafrasi!

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  6. si,anch'io vorrei morire cos'ì

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  7. Grande storia e soprattutto fa molto riflettere.

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  8. Grazie per questo racconto, meraviglioso e toccante intreccio di amore e dolore con sostanziale riferimento alla tipica stupidità umana causa di tanti danni e disagi...(Treni costosi, viaggiatori lasciati a metà e lavoratori licenziati)
    ...e intanto la vita passa...

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  9. un vero poeta, complimenti

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  10. Grazie ed ancora grazie, un motivo in più per gridare SIAMO TUTTI SULLA TORRE - VINCIAMO NOI ! noi non li lasceremo soli ! Pino

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  11. Che bello, Francesco, e che tenerezza quella corsa con i pedalini:)

    p.s.
    grazie per i tuoi post sui treni e i posti di lavoro che scompaiono.

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  12. Questo tuo racconto è perfetto. C'è la tenerezza, c'è l'amore per la tua parlata, la tua terra, c'è la solidarietà, c'è il desiderio e la forza di portare alla luce vicende e situazioni che ci coinvolgono tutti. C'è la poesia e c'è il dolore.

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  13. Ciao, davvero bellissimo e commovente, parole che evocano continue immagini: persone, situazioni, momenti...una gamma di emozioni infinita..tra queste non so quale prevale: forse la rabbia contro chi dispone della vita altrui inseguendo un mondo "spaventoso"!
    Ciao, ciao, Floriana

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  14. Bellissimo racconto d'amore .Io adoro l'amore grazie!

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