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Ancora su Moro



Alla luce delle recenti rivelazioni su una possibile trattativa con la mafia per salvare uomini politici minacciati, Pierluigi Battista si chiede se la linea della fermezza adottata dallo Stato nella vicenda Moro fosse giusta (Corriere della sera del 20 ottobre 09).

Nell’ultimo libro di «controstoria», Cossiga pare offrire spunti nuovi. Se non rivelazioni inedite in grado di ribaltare il senso di quegli avvenimenti, un accento umano non scontato, una prudente apertura alle ragioni della famiglia Moro.
Moro fu un eroe per forza costruito dalle Brigate Rosse e dallo Stato, con le sue lettere Moro invitava a pensare al senso della vita, ma le sue parole accorate e drammatiche non furono ascoltate.
Quell’anno scrissi dei versi crudi su quella vicenda, li propongo, visto che quella ferita della Storia pare ancora non rimarginata.

L’eroe

(dedicata ad Aldo Moro che, vicino alla
morte, con le sue drammatiche lettere,
seppe guardare alla parte più preziosa
della vita)



Pura lega di acciaio
e filamenti d’oro la sua tempra
Un corpo disfatto tace
attende la lussuria dei vermi
Rami di alloro
alberi di alloro
foreste
pronti alla mistura
per un fiume di oppio
Miracoloso unguento
per le insane budella sociali
Lenire
Mostra salute la morte
Nessun vomito comatoso
solo commozione in presenza dell’eroe
Esultino i mezzi uomini
riscoprano la loro sociale virilità
Un grande enorme membro
troneggia
tra le gambe macilente
Noi siamo
noi possiamo
noi vendichiamo
dichiariamo solenni
Socialmente composti
e solenni

Ma ora lasciate
che io parli
non mozzatemi la lingua
con questa vostra solennità

Un albero è un albero
per le sue radici e le sue foglie
Un fiore è un fiore
per i suoi odori
colori e mutamenti
La capra fissa nel vuoto
e col suo guardare
ti trapassa masticando
L’uomo è uomo
per i suoi nervi
per il suo cuore che incalza
per la sua mano resa malferma dal pensiero

Ascoltate me
l’eroe
Non straziatemi con la vostra Storia
ora so di non conoscerla
non c’era
non era mai esistita
Inventata
per instupidire gli alunni di una scuola
Inventata
per cementare ruderi cadenti
Inventata
per reinventarla ancora

Non deponetemi su questo altare
non sarà l’incenso a ridarmi il fiato
se mi fugge l’odore dei campi

Se la vostra legge è la morte
allora la vostra società
la giustizia
lo Stato
le chiese
le strade
i ponti
tutto sa della vostra morte
Ma lasciate che io muoia di me
che mi accompagni il silenzio
e che possa vagare negli spazi
senza il peso delle vostre opinioni


Poesia tratta dalla raccolta Scritti selvaggi di Francesco Zaffuto (1976/1978)
Per maggiori informazioni sulla raccolta
 clic su raccolta di poesie “Scritti selvaggi”