in un luogo della Sicilia la settimana santa assume una veste grandiosa, dalla domenica delle palme fino al venerdì santo; in particolare, il giovedì santo, vengono portati in processione sedici gruppi statuari, di notevole rilevanza scenica, per le strade della città, per tutta la notte: si tratta di Caltanissetta. Ricordo quell'evento con particolare affezione, tanti anni fa scrissi dei versi sulla notte del giovedì santo a Caltanissetta
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Via Crucis
(Giovedì santo a Caltanissetta)
Vare trasecolanti passano alla curva
mogie
dondolandosi su un fianco
lucide
lustrate
contornate di lampade
di fiori
di musica
e dal mormorio dei passi
Si sgranocchiano noccioline e semenza
con gli occhi ora qua
ora correndo
ora Gesù
l’orto
l’amaro calice
ora una ragazza in strettissimi jeans
Un formicolare continuo
interrotto a tratti da sedici bande
ecco i clarini
ora la tromba
ecco il tamburo
e i piatti
i piatti
Migliaia di sguardi
parole quasi uguali
commenti
Poi a bere in gruppo
alla taverna
come gli altri anni
Gocciola dentro il vino
si ride raccontando
Lui sarebbe morto domani
per poi rinascere sicuramente a Natale
nessuna preoccupazione
E ridere è come piangere
Perché non ridere?
E poi di nuovo fuori
in quella miriade di passi
di spinte
di rumori
d’immagini
e il mogio procedere di secolari tormenti di una civiltà
fondata sulla crocifissione del proprio Dio
Incrociare continuo di sguardi
poi due occhi di un dolce viso conosciuto
visti per un attimo
e poi scomparsi dopo un cenno breve
Incolmabili desideri d’amore
navigare nel più dolce degli angoli
domani l’avrei rivista ancora
senza tanta confusione
domani il tempo di parlarle
di toccarla
di sentire il suo respiro
Ed è quasi notte tarda
le aste dell’orologio grande della cattedrale si toccano
Mezzanotte
Ancora mogie vanno
l’una appresso l’altra
e sedici volte
sedici tormenti
Caifas e i suoi farisei
“sepolcri imbiancati”
i borghesi
i giudici
il potere
Pilato e le sue mani lorde di sangue
E le colpe
le colpe di nessuno
si rinnovellano
in un interminabile continuo
Il diavolo sotto terra
perfetto alibi
accarezza la sua barba di capra
Quel bisogno di gridare che si perde
nel mormorio delle cose inutili
e senza ascolto ascrivi nella mente
con colore di sangue la tua rabbia
Ora la sosta
I portatori le hanno lasciate
protette dalla folla
e sono corsi a lenire col vino la fatica
Fermo l’Ecce Homo
con la canna a mo’ di scettro in mano
si lascia rimirare dalla folla
ascoltando gli augurali strali
i fischianti giochi d’artificio
il frastuono della maschiata
ritto senza batter ciglio
sorride con amara tristezza
a due millenni di un presente che non passa
Re involontario di tante crociate
prigioniero di sacrari adorni di diademi ascolta un
lontano lamento
E’ notte tarda
e il giorno dopo avanza
l’odore degli spari si dissolve nell’aria
i portatori sono tornati
la musica riprende coi clarini
e ora insieme
con l’ultima parte di folla
alcuni un po' assonnati
ed altri ancora in cerca
riprende l’ultimo passo
Ora mogie
tirate su in salita
chi sul camion corre
e chi a braccia arranca tremolando
E’ notte tarda
l’Addolorata in lacrime segue le altre
e con le mani giunte tiene il pugnale che la trafigge
corre nel suo manto nero
come l’ultima delle nostre donne
corse alla miniera a raccogliere le membra del figlio
per riporle nell’urna dell’amore
E’ tardi
mogie son giunte
manca poco all’alba
(Giovedì santo a Caltanissetta)
Vare trasecolanti passano alla curva
mogie
dondolandosi su un fianco
lucide
lustrate
contornate di lampade
di fiori
di musica
e dal mormorio dei passi
Si sgranocchiano noccioline e semenza
con gli occhi ora qua
ora correndo
ora Gesù
l’orto
l’amaro calice
ora una ragazza in strettissimi jeans
Un formicolare continuo
interrotto a tratti da sedici bande
ecco i clarini
ora la tromba
ecco il tamburo
e i piatti
i piatti
Migliaia di sguardi
parole quasi uguali
commenti
Poi a bere in gruppo
alla taverna
come gli altri anni
Gocciola dentro il vino
si ride raccontando
Lui sarebbe morto domani
per poi rinascere sicuramente a Natale
nessuna preoccupazione
E ridere è come piangere
Perché non ridere?
E poi di nuovo fuori
in quella miriade di passi
di spinte
di rumori
d’immagini
e il mogio procedere di secolari tormenti di una civiltà
fondata sulla crocifissione del proprio Dio
Incrociare continuo di sguardi
poi due occhi di un dolce viso conosciuto
visti per un attimo
e poi scomparsi dopo un cenno breve
Incolmabili desideri d’amore
navigare nel più dolce degli angoli
domani l’avrei rivista ancora
senza tanta confusione
domani il tempo di parlarle
di toccarla
di sentire il suo respiro
Ed è quasi notte tarda
le aste dell’orologio grande della cattedrale si toccano
Mezzanotte
Ancora mogie vanno
l’una appresso l’altra
e sedici volte
sedici tormenti
Caifas e i suoi farisei
“sepolcri imbiancati”
i borghesi
i giudici
il potere
Pilato e le sue mani lorde di sangue
E le colpe
le colpe di nessuno
si rinnovellano
in un interminabile continuo
Il diavolo sotto terra
perfetto alibi
accarezza la sua barba di capra
Quel bisogno di gridare che si perde
nel mormorio delle cose inutili
e senza ascolto ascrivi nella mente
con colore di sangue la tua rabbia
Ora la sosta
I portatori le hanno lasciate
protette dalla folla
e sono corsi a lenire col vino la fatica
Fermo l’Ecce Homo
con la canna a mo’ di scettro in mano
si lascia rimirare dalla folla
ascoltando gli augurali strali
i fischianti giochi d’artificio
il frastuono della maschiata
ritto senza batter ciglio
sorride con amara tristezza
a due millenni di un presente che non passa
Re involontario di tante crociate
prigioniero di sacrari adorni di diademi ascolta un
lontano lamento
E’ notte tarda
e il giorno dopo avanza
l’odore degli spari si dissolve nell’aria
i portatori sono tornati
la musica riprende coi clarini
e ora insieme
con l’ultima parte di folla
alcuni un po' assonnati
ed altri ancora in cerca
riprende l’ultimo passo
Ora mogie
tirate su in salita
chi sul camion corre
e chi a braccia arranca tremolando
E’ notte tarda
l’Addolorata in lacrime segue le altre
e con le mani giunte tiene il pugnale che la trafigge
corre nel suo manto nero
come l’ultima delle nostre donne
corse alla miniera a raccogliere le membra del figlio
per riporle nell’urna dell’amore
E’ tardi
mogie son giunte
manca poco all’alba
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Poesia tratta dalla raccolta Vento da
queste parti di Francesco Zaffuto (1966/1969)
clic su raccolta di poesie “Vento da queste parti”
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(foto di uno dei più belli gruppi statuari portato in processione "la scinnenza" deposizione del Cristo dalla Croce)
(un link sulla festa con rare immagini degli anni cinquanta, ma per molti versi la tradizione si è conservata : http://www.youtube.com/watch?v=pRrfXYOUcDQ )
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